Camillo Prampolini


Ripensare Camillo Prampolini tra passato e presente

di Alberto Ferraboschi

Proporre alla riflessione contemporanea il pensiero e la prassi di una figura come quella di Camillo Prampolini significa anzitutto misurarsi con la sfida di verificare se la lezione della storia, correttamente indagata, abbia ancora un suo valore e una potenzialità intrinseca; e conseguentemente quali interpretazioni nuove si impongano in chiave di riattualizzazione politico-culturale. In effetti, l’universo sociale ed economico nel quale si muove l’uomo politico reggiano costituisce per diversi aspetti un “mondo” ormai lontano, segnato da una marcata fisionomia rurale e caratterizzato da una netta articolazione in classi sociali, esito dell’incipiente trasformazione di un’Italia ottocentesca che muoveva i primi incerti passi verso l’industrializzazione. Si tratta dunque di un contesto ben diverso da quello dell’epoca post-industriale dell’alba del nuovo millennio dove agglomerati sociali fluidi e magmatici ed una modernità profondamente trasformata dalla globalizzazione mettono sul banco di prova le categorie ed i concetti ereditati dalle ideologie del secolo scorso. Nonostante questa indiscutibile disparità di contesto, l’elaborazione del leader socialista reggiano riesce ad interagire con l’attualità del nostro tempo, sottraendosi allo scorrere incessante della storia. Prampolini, formatosi nel clima dell’ottimismo “scientista” del secondo Ottocento, visse la sua traiettoria politica ed esistenziale all’interno di una provincia (e di una nazione) in cui l’ideologia socialista si “contaminava” fortemente con il materialismo storico, ma soprattutto con il positivismo evoluzionistico, filosofia egemone presso gli intellettuali italiani ottocenteschi di impronta democratica e progressista. Questo impasto culturale di stampo positivista innervò le grandi ideologie della modernità europea, radicalismo e socialismo, nei tessuti clientelari delle relazioni notabilari dell’Italia postunitaria, costituendo l’armamentario ideologico per la realizzazione di un “progresso per accumulo” della società. All’interno del vasto e complesso dibattito legato al processo di innovazione e di riforma sviluppatosi in Italia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, il “riformismo del fare” prampoliniano si distingue per un metodo non intellettualistico di risolvere il problema delle profonde disuguaglianze economiche e sociali causate dalla posizione in cui gli individui vengono a trovarsi nella società; al di là delle prospettive “messianiche” riconducibili al patrimonio ideologico socialista di fine Ottocento, è proprio in questa attenzione ad un impianto concettuale fondato su una prassi riformista intesa a rimuovere il peso delle costrizioni socio-economiche - attraverso l’eliminazione degli ostacoli destinati a condizionare le possibilità di piena realizzazione della persona umana - che è possibile scorgere una prima chiave di lettura per cogliere l’attualità del pensiero prampoliniano nei caratteri propri del nostro tempo. Del resto, la professione di fede nell’ineluttabilità dell’avvento del socialismo si traduceva anzitutto nella lotta per la liberazione dal bisogno economico ed in una politica globale di progresso sociale destinata ad affermarsi in via empirica e sperimentale nel contesto delle istituzioni esistenti. Da questo punto di vista, il riformismo prampoliniano, depurato dalla connotazione ideologica, presenta signifi cative affinità con quelle progettualità politiche che a cavallo tra Otto e Novecento in altri contesti europei cercarono di rinnovare e modernizzare le istanze democratiche e progressiste orientando le ideologie ottocentesche verso nuovi approdi; in particolare, la spiccata propensione pragmatica fondata su principi di “etica” pubblica finisce per mettere l’uomo politico reggiano in sintonia con la lunga tradizione britannica del “riformismo pratico” e in particolare con quelle sperimentazioni social-riformiste che portarono nell’Inghilterra d’inizio Novecento alla nascita di quella progressive alliance tra laburismo e radical­liberalismo, scaturita dall’impulso decisivo della cultura new liberal dell’età edoardiana. Un secondo motivo di riflessione offerto dalla vicenda prampoliniana riguarda il tema del linguaggio e del discorso della politica; in effetti, i caratteri peculiari del “socialismo evangelico” del leader socialista ripropongono con forza la questione della sensibilità tra cultura della politica e cultura dell’ambiente nel quale si dispiega l’azione politica, connotando in tal modo il rapporto tra politica e territorio. Una simile prospettiva consente non solo di evidenziare la rilevanza della risorsa retorica come fondamentale strumento di affermazione politica ma anche la valenza pluridimensionale della stessa retorica in grado di dispiegarsi diversamente all’interno delle arene politiche ai diversi livelli (locale, nazionale, internazionale). Collegata a questa prospettiva la vicenda di Prampolini consente inoltre di evidenziare la questione del rapporto tra leadership politica – “quel fenomeno per cui qualcuno assume un potere di guida (e attraverso di esso, di costruzione dell’identità) rispetto ad un soggetto collettivo” - e le fasi di trasformazione culturale e sociale all’interno di una determinata congiuntura storica. Collocata all’interno degli anni ‘80 dell’Ottocento, segnati dalla profonda crisi dei valori tradizionali della borghesia liberale, la carismatica figura di Prampolini offre da questo punto di vista molteplici spunti di interesse per indagare il problema del rapporto tra leadership e percezione di incertezza e smarrimento che caratterizza inevitabilmente le fasi di transizione; proprio quel “senso di angoscia” che caratterizza la società contemporanea (ed in particolare la classe media), segnata da profonde trasformazioni socio-culturali e dalla crisi dei partiti in quanto portatori di forti ideologie identitarie. Peraltro, non si può tralasciare di evidenziare come all’interno della transizione di fine Ottocento l’esperienza cooperativa e mutualistica ha consentito nel reggiano di rispondere efficacemente alla sfida della trasformazione politica e socio-economica affermandosi come un formidabile strumento di integrazione e coesione sociale destinato a mettere in relazione la dimensione solidaristica con i principi della centralità del socio. Pertanto, riproporre alla riflessione attuale la “cultura delle riforme” del leader socialista reggiano significa inevitabilmente misurarsi con un orizzonte destinato a contemplare, attraverso il ruolo decisivo delle articolazioni associative ed organizzative della società civile, anche la prospettiva di una positiva connessione tra l’aspirazione all’affrancamento degli individui e le istanze del solidarismo sociale. In particolare, occorre interrogarsi se negli imperativi socialisti e collettivistici che animarono il riformismo etico di Prampolini è possibile scorgere spunti per quelle strategie politiche e socio-economiche che riconoscono nella dimensione delle autonomie locali e in “soggetti intermedi” quali la cooperazione, nutriti dei valori del territorio e della comunità, degli strumenti privilegiati per risolvere la tensione tra interessi individuali e interessi collettivi, coniugando in chiave moderna efficienza e partecipazione; se non c’è dubbio infatti che l’attrezzatura concettuale portava i socialisti di fine ottocento a leggere ed interpretare i fenomeni in un’ottica collettivistica, lo stesso Prampolini - che pure abbracciava la metafora organicista ed era estraneo a concezioni individualistiche sia a livello di elaborazione ideologica che a livello di pratica politica - riconosceva nella natura polimorfa della cooperazione (in quanto soggetto di interesse pubblico ma di natura privata) uno dei cardini per lo sviluppo ed il progresso sociale. Ed è proprio a partire da questa stessa elaborazione fortemente permeata da principi di “etica” pubblica, che da uomo del suo tempo Camillo Prampolini poteva giungere a proporre quella centralità della società civile, dell’impresa a responsabilità sociale, imperniata sulla persona e sui diritti del cittadino, a cui ancora oggi è possibile guardare con fiducia nella problematica transizione verso il nuovo millennio.


Ultimo aggiornamento: 03/12/08